“La parte viva” di Cristina Pasqualetto: recensione

 


Chi è davvero Cristina Pasqualetto? La donna dagli occhi di cristallo, i capelli fini come quelli degli angeli, il viso fanciullesco che passa senza sforzo dal vestito a fiori ai jeans strappati con stivali e borchie; la madre dolce, la cardiologa che ascolta i battiti più degli orologi, la scrittrice dal tratto fermo, chiaro, capace di spostarti di due centimetri più vicino alla verità. In La parte viva (Nino Bozzi Editore) questa molteplicità non è posa: è sostanza. Sembra aver vissuto cento vite, e soprattutto sembra ricordarle bene.

Pasqualetto lavora di sensi e di precisione. Quando i cinque sensi diventano poesia, succede la cosa rara: la pagina non illustra, incide. Gli odori di corsia, il neon dell’ambulatorio, il silenzio dopo una diagnosi: non c’è retorica, c’è temperatura. È il vantaggio di chi l’umano non lo immagina: lo vede, lo tocca, lo cura. E in letteratura questo fa la differenza tra l’emozione di passaggio e la ferita che rimane. La trama è essenziale e crudele quanto basta. Anna è una cardiologa che conosce il prezzo della cura: il tradimento, la stanchezza, quell’etica quotidiana che ti fa scegliere il giusto anche quando ti costa. Nadia è il contrappunto: convinta che un cuore malato non guarisca mai davvero, perché ci sono malattie che non si vedono ai referti. Ciro Esposito è la terza via: sa che un cuore malato non ferma la vita, ma la piega, la obbliga a una geometria diversa. In mezzo, una domanda semplice e feroce: di cosa è fatta la libertà, quando tutto intorno ti dice di stare al tuo posto?

C’è la maternità, senza santini. C’è il lavoro, quando sei donna, con i conti che non tornano mai: tempo per gli altri, briciole per te. C’è il corpo sociale: rapporti sbilenchi, matrimoni imposti o accettati per sfinimento, ferite che diventano abitudini. Pasqualetto non fa proclami: mette i personaggi davanti a scelte scomode e li guarda resistere — o cedere — con una calma che fa più male di qualsiasi urlo. La scrittura ha un passo clinico e caldo insieme: frasi pulite, immagini nette, tre dettagli al posto giusto e la scena respira. Nessun manierismo, nessuna indulgenza: la pagina lavora, come una visita fatta con coscienza. E quando serve, l’autrice affonda una riga che non perdona, quella che ti costringe a voltare pagina anche se vorresti fermarti un attimo a riprendere fiato.

Il trio Anna–Nadia–Ciro funziona perché non è pedagogico. Nadia non è una vittima da salvare, Anna non è la santa con il camice, Ciro non è il demone utile. Sono persone: con la loro quota di buio, di errori, di tentazioni che tornano. In questa onestà c’è il meglio del libro: il bene non è uno stendardo, è una fatica. Sullo sfondo, una domanda più ampia: quanto di noi è scelta e quanto è cicatrice? Pasqualetto risponde senza rispondere: mostra crepe che diventano appigli, cadute che insegnano la direzione, amori che non “guariscono” ma rimettono in circolo. È la medicina che incontra la narrativa e smette di fare distinzione: la parte viva è quella che fa male perché sta guarendo.

Verdetto? Ottimo esordio di una voce giovane e carismatica. Pasqualetto scrive col cuore e al cuore, ma non si accontenta dell’impatto: cerca la verità del battito, quella che a volte è irregolare, e proprio per questo è umana. Da tenere d’occhio, senza sconti e senza alibi: ha tutto per sorprenderci ancora.

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