Roberto Zucchi: “Pietro d’Abano è un genio avvolto nel mistero”

Giornalista, scrittore, in passato responsabile dei settori Cultura ed Esteri e quindi caporedattore centrale del quotidiano “Il Gazzettino” di Venezia, Roberto Zucchi è da sempre un grande appassionato di storia della scienza, in particolare se legata al territorio. Quella storia impressa sulle pietre che calpestiamo senza avere la consapevolezza dei geni che l’hanno fatto prima di noi.

Da questo amore e un profondo lavoro di studio, ha avuto origine l’ultimo suo romanzo Mago bianco – Vite e segreti di Pietro d’Abano medico ed eretico(Il Prato Edizioni), la biografia romanzata del medico, astrologo, filosofo e mago vissuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo che si è aggiudicata di recente il primo premio per la narrativa al concorso Locanda del Doge di Rovigo.

 

Roberto, perché si tratta di una vicenda incredibile?

Perché ci troviamo di fronte a un personaggio che, per quanto è ufficiosamente noto, fugge da Padova diciottenne in seguito a un delitto, vive diciassette anni a Costantinopoli, dove diviene un medico così famoso da essere chiamato a Roma, al capezzale di un papa. Poi passa altri dieci anni a Parigi, alla Sorbona, da insegnante di filosofia naturale, come allora venivano definiti gli studi medici. Infine torna a Padova dove ispira Giotto per le sue opere più famose e si confronta perfino su questioni astronomiche con Marco Polo. Questo settecento anni fa, quando anche solo mettersi in viaggio era un rischio fatale. Perciò il sottotitolo del libro parla delle vite, al plurale, di Pietro d’Abano.

E perché recita anche “eretico”?

Perché la sua filosofia, le sue idee e i modi di tradurle in pratica medica, nonché i suoi libri, sono già in embrione scientifici e quindi, per quei tempi, magia. Ad esempio le dissezioni umane, cioè le autopsie, sono una costante della sua ricerca, pur essendo proibite. Per non dire delle implicazioni teologiche: arriva a mettere in dubbio i miracoli e la resurrezione di Lazzaro, considerandolo un caso di epilessia. Per questo e altro ancora l’Inquisizione per ben tre volte cerca di portarlo sul rogo, accusandolo di negromanzia ed eresia.

Perché è importante il ruolo di Pietro d’Abano?

Perché rivoluziona tutti questi campi. Sostiene che la chirurgia è un’“ars” che merita studi appositi; che bisogna praticare le autopsie sugli esseri umani e non sui babbuini, come si usava al tempo. Ma, soprattutto, alla teoria degli umori affianca l’influsso decisivo degli astri: la posizione delle costellazioni al momento della nascita condiziona non solo la salute, ma anche il carattere e il fisico delle persone, volto compreso. Quando adesso parliamo di caratteri collerici o sanguigni, gioviali o solari, è un’eredità della medicina che ha dettato legge fino all’800. A Costantinopoli Pietro d’Abano impara tutto ciò, attingendo ai classici greci e al sapere orientale di Avicenna. Ed evidentemente lo mette in pratica così bene da tornarne famoso e ricco. E quando torna a Padova, è lui a fondare la prima scuola medica universitaria. Inoltre unisce teoria e pratica nel suo libro più importante, il “Conciliator”, in cui “concilia” le ragioni dei filosofi e dei medici, essendo l’unico in grado di farlo proprio per la sua conoscenza di entrambe le discipline.

Per finire, una domanda... di genere. Nel libro la vita di Pietro è scandita dall’incontro con diversi personaggi femminili, dalla dark lady alla prostituta zoppa fino alla servetta accudente. Storia o fantasia?

Fantasia... necessaria. Della famiglia di Pietro sappiamo ufficialmente che ha avuto un padre notaio, un fratello e tre figli. Ma nulla su sua madre né su quella (o quelle) dei figli. Per rendere congruente un racconto che attraversa oltre quarant’anni ho dovuto riempire questi enormi vuoti.  Che sono biografici ma anche sentimentali, umani, di vita quotidiana. Il peso narrativo che ho attribuito a queste donne è una sorta di risarcimento di fronte agli ingiusti silenzi della storiografia.


Intervista di Francesca Ghezzani


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